Nel processo di cura attuato nei confronti di un congiunto affetto da malattia di Alzheimer, la relazione che si instaura tra caregiver e malato è connotata da difficoltà e sofferenza ed è ovvio che i due soggetti interagenti si trovino in una posizione asimmetrica, per lo più sul piano della prestazione comportamentale. Questo però non significa che non vi possa essere scambio tra i due; ciò che si crea è una particolare forma di scambio consistente nella possibilità per chi presta le cure di trarre gratificazione emotiva dalla relazione con il malato e di apprendere gli aspetti positivi del proprio compito assistenziale.
Il grado di intimità nei confronti del parente ammalato subisce un’evoluzione. Infatti, durante la fase iniziale della patologia il caregiver presenta sentimenti di frustrazione, imbarazzo, rabbia e quindi, è elevato il grado di insoddisfazione emotiva; inoltre si evidenzia una grande difficoltà ad assumere, con efficacia, il compito di cura.
Invece, nella seconda fase, il caregiver comincia ad accettare gradualmente la malattia del proprio caro e presenta sentimenti quali tristezza, afflizione e rincrescimento; il caregiver sperimenta perciò gradi più elevati di intimità e soddisfazione che gli permettono di ridefinire le proprie aspettative nei confronti del malato. Un altro fondamentale aspetto che bisogna considerare è la crescente dipendenza del malato. L’aiuto, l’assistenza e l’affetto diventano unidirezionali, quasi esclusivamente dal caregiver al malato; ed è proprio la drammatica e involontaria trasformazione della relazione significativa a rappresentare, per il caregiver, la principale fonte di stress.
In generale, per stress si intende lo stato di affaticamento e di difficoltà psicofisica nel quale un individuo si viene a trovare quando è messo di fronte a dei fatti ambientali che richiedono una modificazione del proprio atteggiamento o dei propri comportamenti. Ciò porta ad un esaurimento di energia e si può manifestare con dei sintomi fisici (quali fatica, insonnia, uso di farmaci), psicologici (senso di colpa, alterazioni dell’umore, scarsa fiducia in sé, irritabilità), reazioni comportamentali (chiusura difensiva al dialogo, spersonalizzazione nei rapporti).