Si tratta di una demenza, la più frequente tra tutte, descritta per la prima volta nel 1907 dal medico tedesco Alois Alzheimer, per la quale la diagnosi di certezza può essere fatta, ancor oggi, solo al tavolo anatomico.
È una malattia neuro-degenerativa cronica e progressiva, di tipo presenile, che drena una importante quantità di risorse del sistema sanitario, del settore socio-assistenziale e delle famiglie.
Si caratterizza per la perdita della memoria, dell’attenzione e delle capacità cognitive e comporta alterazioni della condotta che rappresentano una diminuzione delle funzioni intellettive talmente grave da interferire con il normale svolgimento delle attività quotidiane e delle relazioni sociali.
La malattia, oltre che progressiva, è irreversibile e, sino ad ora, non è stata scoperta nessuna terapia efficace in una percentuale significativa, così che il paziente va progressivamente perdendo le capacità di autogestirsi, di interagire e di adeguarsi al mondo circostante.
Questa sindrome colpisce senza distinzioni di nazionalità, di razza, di gruppo etnico o di livello sociale; interessa uomini o donne indifferentemente, anche se sembrerebbero più affette queste ultime (pur tenendo conto che le donne vivono più a lungo).
In generale la malattia si presenta sopra i 65-70 anni, ma ci sono casi di persone di età inferiore a 50 anni (caso 45 anni a Rho); è progressivamente più frequente con l’aumentare dell’età:
< di 65 anni: 1/000
> di 65 anni: 5%
> di 80 anni: poco significativo.
In Italia si calcola che le persone malate di Alzheimer siano all’incirca 500.000 per lo più inseriti nella propria famiglia (4.000.000 negli Stati Uniti) e si presume che raddoppieranno per l’anno 2030.
Non si conosce una causa della malattia; tuttavia, gli ultimi studi propendono per un’origine multifattoriale, vale a dire che viene riconosciuta una concomitanza di cause anche se quella genetica sembrerebbe la più importante.
I ricercatori hanno individuato alcuni geni, localizzati sui cromosomi 1, 12, 14, 19 e 21, che, in un modo o in un altro, sarebbero causanti.
Non sono da dimenticare altri importanti fattori favorenti quali:
- Virus
- Agenti tossici e ambientali
- Intossicazione da alluminio
- Campi elettromagnetici
- Risposte infiammatorie
- Traumi cranici
- Reazioni auto-immuni
- Squilibri biochimici del cervello
- Depositi di amiloide nei neuroni.
L’esperienza ci dice, per altro, che esistono fattori che incidono nell’insorgere della malattia e, tra questi, fatti critici che inducono ad una perdita dell’identità personale e del senso di sé:
- Morte del marito per donne particolarmente dipendenti ed insicure;
- Accuse infamanti ed offensive;
- Cambi di residenza;
- Interventi chirurgici o incidenti anche poco significativi subiti dalla persona di riferimento;
- Pensionamento, accompagnato da sensi di svalorizzazione;
- Perdita del ruolo a cui veniva dato una enorme importanza sociale;
- Scippo, furto o tentativo di scasso;
- Tensione o stress emotivo persistente.
I primi sintomi della malattia possono essere confusi con i normali segni dell’invecchiamento, come: dimenticanze, perdita della concentrazione, difficoltà a mantenere l’attenzione, riduzione degli interessi, disturbi motori e dell’articolazione del linguaggio. Il decorso si caratterizza, poi, con progressivo impoverimento di tutte le altre funzioni cognitive man mano che la degenerazione colpisce le varie aree della corteccia accompagnandosi ad una progressiva perdita delle abilità funzionali da quelle più complesse a quelle più semplici, fino alla loro completa destrutturazione.